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Il romanzo dell’inazione

  • Immagine del redattore: Carie Letterarie
    Carie Letterarie
  • 30 giu
  • Tempo di lettura: 4 min

di Claudia Valsania



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«Io sono un uomo malato... Un uomo cattivo, sono. Un brutto uomo, sono io. Credo di essere malato di fegato».

Fëdor Dostoevskij, Memorie del sottosuolo, traduzione di Paolo Nori, Garzanti, Milano 2022, p. 3.










«Io sono un uomo malato... Un uomo cattivo, sono. Un brutto uomo, sono io. Credo di essere malato di fegato»1. Di questa frase, con cui hanno inizio le Memorie del sottosuolo, Paolo Nori sottolinea nella sua traduzione e poi a parole il dato sonoro: Dostoevskij avrebbe costruito a suo dire una sorta di «trottola sonora» dove le singole parti, cambiandosi di posto, restituirebbero il carattere del personaggio prima del significato stesso.


Dal modo in cui [l’uomo del sottosuolo] parla in russo sembra di vedere la sua postura, il modo innaturale nel quale nel corso degli anni si è piegato su se stesso, la smorfia di cattiveria, di malcontento, di volgarità compiaciuta e di disperazione che ha mentre dice la sua verità2.


Il contorcimento della sintassi e il ritmo storto che piegano la voce all’uomo del sottosuolo riecheggiano, a seguire il filo sonoro, un passo dell’Inferno dantesco nel quale i dannati per accidia, immersi nelle acque paludose dello Stige, si sentono gorgogliare in gola parole che non possono pronunciare con voce piena perché coperti dal fango:


[…] Tristi fummo

ne l’aere dolce che dal sol s’allegra,

portando dentro accidioso fummo:

or ci attristiam ne la belletta negra3.


E tutto il finale di canto che li racconta è intessuto dei suoni aspri (strozza, lorda, secca, ingozza, sezzo…) che dicono il male della coltre nebbiosa che li ha abitati in vita, portandoli giù, e della pena che ora stanno scontando. La morale di Dante in Dostoevskij è capovolta perché non c’è condanna e quasi esaltazione, anzi, dell’inazione, eppure la rappresentazione che se ne dà è così simile da gettare luce sulla condizione disperata e oscura nella quale l’uomo del sottosuolo vive. La sua voce e quella dei dannati danteschi è la stessa.


A un certo momento dell’Ottocento il romanzo comincia a essere abitato da personaggi strani, inerti, nel senso proprio di «senza attività», inadatti all’azione. È il caso degli «inetti» sveviani, sistematicamente scornati nel confronto con la vita, «malati» perché incapaci di stare al mondo come si converrebbe, ed è il caso, per restare tra i russi, di Oblomov, protagonista dell’omonimo romanzo di Gončarov, nel quale questi passa il tempo disteso per scelta sul divano, consapevole che né lui né il suo sapere trovano posto nella realtà che lo circonda. È il caso ancora dell’uomo del sottosuolo, probabile diretto discendente del personaggio gončaroviano, che dell’inazione fa una necessità, una naturale conseguenza delle circostanze, se crede come dice «che, comunque sia, una persona intelligente non può diventare sul serio qualcosa, giacché a diventar qualcosa ci riesce solamente l’imbecille»4. Sotto la pressione della conoscenza la vita cade in contraddizione – l’intelligenza pone in scacco la fede, per Dostoevskij – e questa rivela allora la sua infinita piccolezza, il suo essere priva di senso.


In un capitolo del Fu Mattia Pascal il signor Anselmo Paleari, personaggio strambo, che se ne va in giro ciabattando toccato di tanto in tanto da intuizioni folgoranti, enuncia al suo inquilino – Mattia Pascal, ora Adriano Meis – una sua particolare teoria sulla trasformazione dell’eroe classico Oreste nel moderno Amleto:


Ora senta un po’ che bizzarria mi viene in mente! Se, nel momento culminante, proprio quando la marionetta che rappresenta Oreste è per vendicare la morte del padre sopra Egisto e la madre, si facesse uno strappo nel cielo di carta del teatrino, che avverrebbe? […] Oreste rimarrebbe sconcertato da quel buco nel cielo. […] Sentirebbe ancora gl’impulsi della vendetta, vorrebbe seguirli con smaniosa passione, ma gli occhi, sul punto, gli andrebbero lì, a quello strappo, donde ora ogni sorta di mali influssi penetrerebbero nella scena, e si sentirebbe cader le braccia. Oreste, insomma, diventerebbe Amleto5.


Amleto, che nella tragedia shakespeariana studia nella luterana Wittenberg, città della Riforma e del dubbio, si distingue dall’eroe classico perché, se come lui sente la pienezza delle proprie passioni e della vita, a differenza sua ha però di fronte a sé il segno tangibile, lo «strappo nel cielo di carta» appunto, dell’artificio che regge le cose. Così Adriano Meis - Mattia Pascal, nella sua seconda e nuova vita, sentirà a tal punto bruciare la contraddizione tra la finzione e la passione vera per la donna che ama, da doversene andare. La forza del sentimento non corrisponde a ciò che c’è fuori e, non corrispondendo, cade.


Ecco dunque che il genere d’azione per eccellenza (il romanzo ha le sue radici nella narrazione delle gesta epiche, nella chanson de geste) a un certo punto, dopo la sua grande stagione, entra in crisi, ed entra in crisi perché dell’azione non gli resta che il rovello dei personaggi che cercano di compierla senza riuscirvi, o la loro resa. È uno stato sospeso quello dove questi personaggi ora si muovono, sospeso come letteralmente ci appare il protagonista del racconto di Kafka Il cavaliere del secchio, uscito alla ricerca di carbone ma presto sospinto, a cavallo del suo secchio, dove la ricerca non può compiersi. Eppure questo secchio vuoto, e che non può essere colmato, come non lo possono i desideri e le aspirazioni degli uomini secondo la rappresentazione romanzesca, porta il cavaliere in alto, e in questa altezza sofferta, dettata dalla privazione, c’è tutta la forza della sospensione che vi conduce.


  1. Fëdor Dostoevskij, Memorie del sottosuolo, traduzione di Paolo Nori, Garzanti, Milano 2022, p. 3.

  2. Paolo Nori, L’uomo del sottosuolo – L’orribile scrittura di Fëdor Michajlovič Dostoevskij, su UnistrasiTV, https://www.youtube.com/watch?v=qQ3rtQhD09c.

  3. Inf. VII, vv. 121-24.

  4. Fëdor Dostoevskij, Memorie del sottosuolo, a cura di Igor Sibaldi, Mondadori, Milano 1990, p. 23.

  5. Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal, Mondadori, Milano 1988, p. 136.



Bibliografia

Dante Alighieri, La divina commedia, commento di Anna Maria Chiavacci Leonardi, Mondadori, Milano 2014.

Italo Calvino, Lezione americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Mondadori, Milano 2014.

Fëdor Dostoevskij, Memorie del sottosuolo, a cura di Igor Sibaldi, Mondadori, Milano 1990.

Id., Memorie del sottosuolo, traduzione di Paolo Nori, Garzanti, Milano 2022.

Agostino Lombardo, L’eroe tragico moderno. Faust, Amleto, Otello, Donzelli, Roma 1996.

Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal, Mondadori, Milano 1988. Paolo Nori, L’uomo del sottosuolo – L’orribile scrittura di Fëdor Michajlovič Dostoevskij, su UnistrasiTV, https://www.youtube.com/watch?v=qQ3rtQhD09c.


 
 
 

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