Dell’inconsapevolezza. Un giorno decisi che con due dadi, uno giallo e uno rosso, potevo arrivare a gestire un campionato mondiale di club. Sì, insomma, presi un’agenda di quelle che regalavano ai miei genitori e che loro non usavano e mi giravano, “per le tue classifiche”, e iniziai. 32 campionati europei e un buon numero di campionati stranieri. Forse non tutto il mondo, ma un bel numero di sicuro. Laddove non conoscevo squadre, le inventavo. Uscivano delle Lokomotiv, dei Deportivo, delle Universidad Catolica a caso. Funzionali ad arrivare ad almeno a 16 squadre per nazione, che in un torneo ad eliminazione diretta di stampo tennistico (ma ho ritrovato qualcosa ultimamente, mai con il goal in trasferta che valesse doppio, da bravo frequentatore di terra rossa si andava al terzo set), producevano un solitario campione nazionale da mondare al campionato mondiale. Se ben ricordo, ora che ci penso, erano 128 le nazioni.
Per l’Italia vinse ai dadi una squadra che mi vinceva un sacco di tornei, la Fiorentina. Si comportò anche bene, arrivando nelle fasi finali (a memoria mi sembra ai quarti, ma non lo giurerei).
C’era però una squadra su tutte, una squadra che dal primo turno (ma del torneo nazionale), a me piaceva e inconsapevolmente tifavo. Non sapevo perché, non speravo vincesse (per il noto principio di verosimiglianza, non può vincere ciò che ti piace), ma qualcosa mi legava a lei, forse il nome molto buffo.
La parola d’ordine era “inconsapevole”. Vinse il mio più grande torneo mai organizzato coi dadi su un’agenda. Lo faceva mentre io non sapevo che: è la squadra in cui giocava Ramón Unzaga, l’inventore della rovesciata (ce lo dice Eduardo Galeano) ed è grazie a lui che in Spagna la rovesciata si chiama la Chilena; è stata fondata dal suo amico David Arellano, ucciso da una gomitata in un match contro la Real Union Valladolid, per cui la squadra gioca con il lutto al braccio da sempre (e i suoi giocatori sono chiamati “gli enlutados”); il suo nome deriva da un leader ribelle dei mapuche e la sua indipendenza dal potere è stata quasi sempre intonsa (Pinochet ha provato ad usarla, ma non c’è mai riuscito, chiedete a Scolari); era la squadra di Carlos Caszely, quello che giocò la partita più truffa della storia del calcio (Cile-URSS, l’Urss non scese in campo) ma a fine match ebbe una crisi di rabbia e pagò il suo debito beccandosi il primo cartellino rosso della storia dei mondiali ( che fece sì che Pinochet lo esigliasse, ma lo richiamasse in Spagna per i mondiali, dove lui si procurò il rigore contro l’Austria che vorrà calciare ma che si rifiutò di segnare-Carlos non diede mai la mano a Pinochet, in tutta la sua vita). Ma,soprattutto, sapendo che Pinochet avrebbe usato il suo stadio per farne un campo di prigionia, era el equipo que retrasó el golpe fino a far dire agli sgherri del futuro dittatore che “Mientras Colo Colo gane, Allende está seguro”.
Vent’anni circa dopo quel torneo, sarei stato a Santiago in viaggio di nozze, avrei visto sì la casa di Londres 38, ma non lo stadio in cui hanno ucciso Victor Jara e che ha vissuto uno dei momenti più brutti di sport di sempre.
Ma nella mia borsa, al ritorno, c’era la maglia nera della squadra del mapuche ribelle, Colocolo, il gatto della montagna, Toqui de la paz.
D.G.
#epicarie è la rubrica a tema sportivo a cura di Davide Genta
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