di Claudia Valsania
Il venticinque settembre milleduecentosessantaquattro,
sul far del giorno, il Duca d’Auge salí in cima al
torrione del suo castello per considerare un momentino
la situazione storica. La trovò poco chiara. Resti del
passato alla rinfusa si trascinavano ancora qua e là.
Sulle rive del vicino rivo erano accampati un Unno o
due; poco distante un Gallo, forse Edueno, immergeva
audacemente i piedi nella fresca corrente. Si
disegnavano all’orizzonte le sagome sfatte di qualche
diritto Romano, gran Saraceno, vecchio Franco, ignoto
Vandalo. I Normanni bevevan calvadòs. (Raymond Queneau, I fiori blu)
La nostra epoca vede trionfare la velocità in ogni sfera della vita: media fisici e virtuali attraversano velocissimi lo spazio per congiungere mondi di per sé lontanissimi. Questa corsa investe il campo dei trasporti, ma anche quello della comunicazione e dell’informazione, così come quello dell’economia e, più in generale, di tutto ciò che oggi fa della velocità un modello per la propria esistenza. È probabile che questa ricerca della velocità dipenda in gran parte da un certo gusto per la novità e per il possesso d’informazioni e cose, ma è certo che una società così concepita corre il rischio – se è solo di un rischio che oggi si deve ancora parlare – della saturazione, poiché questa moltiplicazione di cose, parole e idee va a formare sulla realtà un fitto involucro che sembra diventare sempre più difficile infrangere.
Osserviamo ora la situazione letteraria. Accanto a testi lunghi e lunghissimi alla David Foster Wallace o all’Antonio Moresco, troviamo una quantità sterminata di forme letterarie difficilmente classificabili dal punto di vista accademico. Penso ai brevissimi racconti di Jorge Luis Borges, a Raymond Queneau, al Cesare Pavese dei Dialoghi con Leucò e alla grande sperimentazione formale di Italo Calvino, dai petits poèmes en prose delle Città invisibili alle brevi descrizioni di Palomar. Nel panorama delle forme letterarie attuali la situazione è quindi evidentemente poco chiara, ma caratterizzata tuttavia da una comune predilezione per la brevità.
Dagli inizi del Novecento a oggi, la letteratura è stata sempre più portata a realizzarsi in forme brevi: il romanzo ha progressivamente abbandonato le lunghe narrazioni ottocentesche, il racconto, pur avendo alle spalle una tradizione gloriosa, ha preso più fermamente piede, e la scrittura stessa si è fatta più rapida e concisa, alla maniera dei narratori americani. Dal secondo Novecento in avanti anche la poesia è apparsa sempre più scorciata, privata dei legami logici e, talvolta, anche della punteggiatura. Basti pensare ai testi quasi epigrammatici dell’ultimo Montale, quello di Satura e dei Diari, e allo stravolgimento delle norme linguistiche, metriche e stilistiche che caratterizza in genere la poesia dagli anni ’60 a oggi (penso in particolare alla Neoavanguardia o a una poesia più recente come quella di Gabriele Frasca, ispirata alla tecnica dello stream of consciousness).
Come spiegare, però, questa moderna vocazione della letteratura per la brevità? In Se una notte d’inverno un viaggiatore, Calvino scrive che «i romanzi lunghi scritti oggi forse sono un controsenso», perché «la dimensione del tempo è andata in frantumi». Guardandosi intorno, l’uomo di oggi coglie la realtà solo per frammenti, ha cioè perduto il senso della continuità tra le cose, e non è quindi da escludere che dietro a questa diffusa smania di rapidità stia proprio il bisogno di ricreare un legame tra le cose, di colmare il vuoto.
Nel mezzo del movimento frenetico di un mondo che il peso delle parole e delle cose sta rapidamente schiacciando, la letteratura riscopre il valore della rapidità.
Questo è però un concetto su cui bisogna prima capirsi. Nelle Lezioni americane, Calvino scrive che «la rapidità dello stile […] vuol dire soprattutto agilità, mobilità, disinvoltura». Seguendo Calvino possiamo dire, dunque, che il segreto della forma breve non è la brevità in sé, sebbene i fatti narrati appaiano qui chiaramente ridotti e si facciano puntiformi, ma uno specifico ritmo narrativo che regola il succedersi degli avvenimenti o dei pensieri incatenandoli tra loro per mezzo di un movimento rapido e senza sosta.
La rapidità del ritmo che caratterizza queste opere corrisponde a una velocità mentale, a un movimento del pensiero che riesce a catturare e a collegare tra loro punti lontani nello spazio e nel tempo, rintracciando così un ordine nella realtà.
Un’altra specificità delle opere brevi è quindi la densità semantica, che avvicina fortemente il testo in prosa alla poesia. Come il testo in versi, anche la prosa breve esige infatti dallo scrittore un lungo e paziente lavoro di ricerca dell’espressione più efficace, unica e insostituibile, che sia in grado di restituire in parole l’immagine della realtà. Questa densità può essere inoltre raggiunta anche in narrazioni molto lunghe, dove si ripropone nelle singole parti, così che la regola moderna della brevità in letteratura viene confermata anche dalle opere contemporanee di largo respiro, che ripropongono queste caratteristiche nella singola pagina.
Torniamo però ora alla rapidità. Abbiamo detto che il contatto con la realtà diventa oggi per noi sempre più difficile a causa della grande quantità di cose che ogni giorno si deposita su di essa, congestionandola:
La città di Leonia – scrive Calvino – rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello d’apparecchio. […] Il risultato è questo: che più Leonia espelle roba più ne accumula; le squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può togliere; rinnovandosi ogni giorno la città conserva tutta se stessa nella sola forma definitiva: quella delle spazzature d’ieri che s’ammucchiano sulle spazzature dell’altroieri e di tutti i suoi giorni e anni e lustri.
A un tale livello di saturazione del reale, è oggi appunto la rapidità a dover insegnare alla letteratura il modo di scartare nel generale ammontichiare delle cose, per riuscire a strappare al crollo inesorabile della realtà la parola che ci salva, e tracciare così pezzo per pezzo la rotta che possa condurci fuori dal mare chiuso delle cose.
Bibliografia
1. R. Queneau, I fiori blu, Einaudi, Torino 2019, p. 3.
2. Calvino I., Le città invisibili, Mondadori, Milano 2012.
3. Id., Lezioni americane, Mondadori, Milano 2014.
4. Id., Se una notte d’inverno un viaggiatore, Mondadori, Milano 2009
5. Queneau R., I fiori blu, Einaudi, Torino 2019.
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